MANIFESTAZIONE A ROMA PER IL NO – E QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA RIFORMA

Riceviamo e diffondiamo l’invito a partecipare alla manifestazione nazionale per il NO al referendum costituzionale organizzata da vari comitati studenteschi che si terrà a Roma il 27 Novembre   (sopra la locandina arrivataci da Pisa).  

Seguono le nostre considerazioni in merito alla riforma proposta.

 

di Malachia Paperoga con la collaborazione della redazione

Senza dilungarci sui dettagli della riforma (qui il testo con l’originale a fronte), molto pervasiva e articolata,  che ormai è ampiamente nota,  vogliamo anzitutto concentrarci sugli aspetti che riteniamo principali.

La vera rivoluzione proposta non sta tanto nella fine del bicameralismo perfetto (che oltretutto come è noto per diverse materie esso rimane inalterato), né certamente nei “risparmi”, dato che i 500 milioni di euro  sbandierati da Renzi sono stati smentiti dalla ragioneria dello stato, che ha invece valutato i risparmi in 57 milioni (per avere un confronto, nella finanziaria 2015 ai soli comuni sono stati imposti risparmi per 1200 milioni di euro).

Uno degli aspetti principali, invece, è la modalità di elezione del nuovo Senato, e l’aumento di peso che si dà invece alla Camera. Questo va letto nel contesto della nuova legge elettorale (qui i dettagli).

A regime, avremo una Camera che potrà legiferare a maggioranza in maniera indipendente su diverse materie. Ma i seggi non saranno assegnati ai deputati in maniera proporzionale alle scelte degli elettori: il partito che raggiunge il 40% (o più) ottiene come minimo il 54% dei seggi in Parlamento. Non solo: in caso di ballottaggio (se nessun partito arriva al 40%), il secondo classificato al primo turno – che al primo turno non avesse avuto nemmeno la maggioranza relativa – in caso di vittoria si vedrebbe comunque assegnati il 54% dei seggi alla Camera.

Mentre fino a pochi anni fa c’era chi si lamentava della “dittatura della maggioranza”, qui assistiamo a una cosa ancora più grave: la dittatura di una minoranza.

Se questo sistema poteva essere attenuato da un Senato che, eletto su base regionale, avrebbe costretto il vincitore a misurarsi anche con gli altri partiti, portatori di diverse e legittime istanze, la riforma spiana la strada invece alla fine della politica intesa come mediazione tra più interessi concorrenti.

Aggiungiamo inoltre che la nuova legge elettorale prevederà, in ogni circoscrizione, liste con capilista bloccati e la possibilità di esprimere 2 sole preferenze, tra l’altro vincolate ad essere di diverso “genere”.

Quello che si profila dunque è un netto aumento della distanza tra le preferenze degli elettori e la scelta dei loro rappresentanti: tra capilista bloccati alla camera, premi di maggioranza enormi, e nomina dei senatori anziché elezione diretta, la riforma nel suo complesso genera un ulteriore deficit di democrazia.

Anche solo per questo motivo, essa va rigettata senza indugio.

Un altro aspetto fondamentale della riforma, è la costituzionalizzazione del suo rapporto di sudditanza con l’Unione europea. In un momento storico in cui questa istituzione è messa fortemente in discussione (si pensi, solo a titolo di esempio, alla Brexit) e in cui i suoi effetti sulle nazioni che la compongono sembrano essere in larga maggioranza negativi, la riforma  introduce definitivamente la Ue in Costituzione, assegnando al Parlamento il ruolo di esecutore delle politiche decise in sede europea: “il Senato partecipa alle decisioni (cioè partecipa ad approvare le leggi) dirette all’attuazione degli atti normativi Ue e delle politiche europee”. 

A prima vista è difficile cogliere la differenza rispetto all’altra dicitura già contenuta in Costituzione, all’art. 117: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (nella riforma “dell’Unione europea”) e dagli obblighi internazionali”.

Eppure è una differenza sostanziale, perché una cosa è ribadire l’ovvietà che lo Stato nell’esercizio del suo potere è comunque vincolato dai trattati e dalle norme del diritto internazionale (trattati che oltretutto è obbligato a rispettare solo sino a che le circostanze che lo hanno portato ad aderire non mutino, la c.d. clausola rebus sic stantibus)  –  altra cosa invece è assegnare  al Parlamento italiano come sua funzione costituzionale quella di attuare le politiche decise  a Bruxelles o a Francoforte, cioè da istituzioni europee non legate da un rapporto di responsabilità politica col popolo italiano. Sembra un tentativo volto ad attuare una vera e propria cessione di sovranità, e a rendere più difficile un eventuale futuro disimpegno  del nostro paese dalla Ue, dato che questo dovrebbe passare da una ulteriore revisione – in senso inverso – della Costituzione.

Per completezza, tocchiamo altri argomenti che ci portano a giudicare negativamente la riforma.

Detto degli irrisori risparmi (meno di un euro all’anno per ciascun italiano, un prezzo infimo per un deficit di democrazia e meno di quanto costa votare a certe primarie), c’è poi la questione della semplicità e trasparenza. La riforma appesantisce notevolmente la Costituzione, in alcuni casi articoli di due righe diventano lunghi e di difficile comprensione, si vedano a titolo di esempio il numero 55 e il numero 70. Mentre la nostra Costituzione prevede una sola modalità di votazione delle leggi, la riforma prevede addirittura 10 sotto casi, a seconda del merito e dell’intervento del Governo.

Un problema vero attuale, che la riforma proposta non risolve e probabilmente aggrava, è che 3 leggi su 4 che vengono attualmente approvate sono di iniziativa governativa (potere esecutivo) e non parlamentare (potere legislativo). La riforma prevede che il governo possa imporre il “voto a data certa” sui disegni di legge che più gli interessano, dandogli quindi ulteriori mezzi per monopolizzare l’attività legislativa.

Infine un dettaglio: il termine senatore viene dal latino Senex (anziano, esperto), infatti attualmente un senatore per essere eletto deve avere almeno 40 anni (un deputato 25). La riforma fa decadere completamente questo requisito: i “Senatori” dovranno aver compiuto solamente diciotto anni (requisito per divenire consiglieri regionali).

 

L’OPINIONE DEGLI “ESPERTI”

Cosa dicono i costituzionalisti? E’ opinione piuttosto diffusa che diversi si siano espressi per il no, Ma è pure passato il concetto che “sono divisi”, “molti sono per il sì”. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, a fronte di un appello di 56 costituzionalisti di alto profilo per il “No”, è nata un’iniziativa, chiamata “professori e costituzionalisti per il sì”, che ha risposto con ben 184 firme. Ora, questa lista completa non siamo riusciti a trovarla, ma in genere vengono menzionati negli articoli dei giornali gli esponenti di spicco.

Le abbiamo dato un’occhiata e… basta guardarla ed è chiaro perché il comitato del sì ha puntato sulla quantità. Nella lista c’è – veramente – di tutto: economisti (Tabellini), politologi (Panebianco), ex ministri (Treu), docenti di politica (Pasquino)… e qualche raro esperto della specifica materia (come Ceccanti, Vassallo, Bassanini, ex parlamentari del PD/DS). Non credo di dover spendere molte parole sulla qualità degli esponenti di spicco del no (Zagrebelsky, De Siervo, Onida, Bile, …) tutti esperti del campo, più molti docenti di diritto.

Per capire la distanza che c’è tra le due – per così dire – fazioni, abbiamo usato un criterio molto semplice e diretto.

Abbiamo preso tutti gli ex Presidenti della Corte Costituzionale ancora in vita, e siamo andatio a vedere cosa dicono in merito alla riforma. Ecco i risultati:

 

Per il SI’: nessuno

Per il NO: 13

Non si sono espressi: 6 (di cui gli ultimi 4, come è comprensibile)

 

Qui sotto il dettaglio.

Insomma: coloro che meglio conoscono la Costituzione, in maniera statisticamente schiacciante, sono contrari alla riforma. E se siete riusciti eroicamente ad arrivare in fondo a questo intervento, la cosa non dovrebbe affatto stupirvi.

 

Francesco Paolo Casavola No
Antonio Baldassarre No
Renato Granata Non espresso
Cesare Mirabelli No
Cesare Ruperto Non espresso
Riccardo Chieppa No
Gustavo Zagrebelsky No
Valerio Onida No
Annibale Marini No
Franco Bile No
Giovanni Maria Flick No
Francesco Amirante No
Ugo De Siervo No
Alfonso Quaranta No
Franco Gallo No
Gaetano Silvestri Non espresso
Giuseppe Tesauro Non espresso
Alessandro Criscuolo Non espresso
Paolo Grossi Non espresso

 

Per comprendere meglio come la riforma costituzionale sia costruita ad hoc nel contesto della crisi dell’euro e della “governance” europea imposta a spese delle democrazie nazionali, consigliamo anche l’ascolto di questa ampia relazione di Luciano Barra Caracciolo, e la lettura di questo articolo di Vincenzo Marineo,  molto efficace nell’unire i puntini.

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